In quella ricca collezione di pergamene medievali trascritte che è il cosiddetto Codice Perris [1] il documento che contiene la più antica menzione di Agerola, segnala anche il micro toponimo Tigillitu, molto interessante perché permette di collocare la nostra area tra quelle che per prime in Italia cominciarono a impiantare castagneti da frutto.
La pergamena in questione risale all’anno 981 e compare alle pagine 4 e 5 del primo volume del Codice Perris. Si tratta di un accordo di compravendita tra la monaca amalfitana Drosu de Pulchari e l’agerolese Sparanus de Rosa, portatore di un cognome che con questo documento si candida ad essere il più antico di Agerola.
Il bene trattato è un territorio a castagneto e terra incolta (vacua) che si pone lungo un versante esposto a mezzogiorno [2] e confinante su tre lati con fondi di altri de Rosa. Da ciò deduco che la più probabile ubicazione della località Tigillitu sia nel casale di Pianillo, lungo il fianco sud del Colle Sughero, dove ancora persiste il toponimo Case de Rosa.
Come tutti i nomi di luogo terminanti in –eto/-ito/itu (tutti dal latino -etum), Tigillitu appartiene alla categoria dei fitonimi, cioè dei toponimi indicanti l’abbondante presenza di un certo tipo vegetale (ad esempio, Cerreto per ‘bosco di cerri’, Faito per ‘bosco di faggi’, Calavricito per ‘zona ricca di biancospini’, Carpenito per ‘bosco di carpini’, Ischito per ‘bosco di farnie o farnetti’. Ma cosa erano i tigilli? Erano le giovani piante di castagno selvatico, di uno o pochissimi anni d’età e col fusto dritto e sottile. Il termine, solo un poco modificato (tiillo), lo sento ancora usato da qualche anziano agerolese per ‘alberello giovane o portainnesto’. All’origine del nome è il vocabolo latino tigillum, che sta per ‘travicello’. Ma un tigillitu o tigilletum era una piantata di castagni selvatici creata da poco e in attesa di diventare un insertetum quando il conduttore del fondo sarebbe venuto ad innestare (insertare) su ogni tigillo due o tre getti di castagno da frutto (“…de bona castanea Zenzala”, si legge in diversi contratti medievali della zona) , avviandolo così a diventare un castanieto.
Al proposito devo ricordare che, invece, un bosco fatto di castagni selvatici veniva e viene ancora detto pontechito, essendo pònteco il nome locale del casatagno amaro. E per analogia organoletica, si dice che è puònteco il brutto gusto di ogni frutto che allappi, leghi la bocca, come i cachi e le sorbe qando sono acerbi.
1NOTE
–Il Codice Perris. Cartulario Amalfitano sec. X-XV, a cura di J. Mazzoleni e R. Orefice, Centro di Cultura e Storia Amalfitana, Fonti 1, I-IV, Amalfi 1985-1988.
2 –Lo desumo dal fatto che la descrizione dei confini, dopo aver detto di quelli verso monte e verso valle, descrive quelli laterali in termini di oriente ed occidente.