Come molte altre città di antiche origini, anche Amalfi possiede un suo mito di fondazione. Lo si trova narrato come Chronica Amalphitana, un testo della seconda metà del secolo XII (riportato nel primo tomo delle Antìquitates Italicae Medii Aevi del Muratori), ma una versione quasi identica del X secolo la si trova nel Chronicon Salernitanum, un’opera longobarda che lo stesso Muratori riporta nel tomo undicesimo del suo Rerum Italie. Attingendo alla traduzione della Chronica che fornisce Cesario d’Amato nelle prime pagine del suo volume Scala, un centro amalfitano di civiltà (Tip. Jovane, Atrani, 1975), eccone i passi essenziali: «Al tempo che il grande Imperatore Costantino riedificò la città di Costantinopoli in seguito ad una visione soprannaturale, cominciò ad invitare i Romani perché si recassero ad abitare nella Nuova Roma, cioè a Costantinopoli, prima chiamata Bisanzio. Molti tra i principali dei Romani, con le loro famiglie e ricchezze, si imbarcarono sulle navi, lasciando i beni posseduti in patria, per recarsi ad abitare gli edifici che si dicevano promessi dall’Imperatore. Navigando pervennero sulle coste della Schiavonia (n.d.r.: Dalmazia), dove piombò su di loro una gran tempesta che sbaragliò le navi e le disperse. Due sole di esse naufragarono. I naufraghi, con le loro mogli e famiglie, nudi e privi di tutto, presero terra in un luogo chiamato Ragusa (1). Lì pregarono quegli abitanti dicendo: «Noi siamo Romani e Patrizi. Una fiera tempesta ci ha scaraventati qui. Vi preghiamo umilmente di concederci un suolo dove possiamo abitare con voi ». Gli abitanti del posto risposero cortesemente: « Siamo pronti ad accogliervi. Benché questa nostra regione non sia molto vasta né tanto fertile come ci sarebbe necessario, basterà a voi e a noi. Intanto provvederemo alle prime necessità delle vostre famiglie». (n.d.r.: Il Chronicon Salernitanum aggiunge che abitarono lì per molto tempo). Ma avvenne che i Ragusini, dimentichi delle antiche promesse, invidiando i Romani, cominciarono ad opprimerli e ad odiarli. Allora i Romani decisero di lasciare Ragusa e per mare andare in cerca di altre regioni. Rubate alcune navi ragusine, navigarono fino ad arrivare davanti alle coste dell’Italia, sbarcando in un luogo chiamato Melfi (2). Lì, lasciato il nome di Romani, come prima venivano chiamati, furono detti Melfitani. Non sapendo dove stabilirsi, rimasero in quel luogo molto tempo. Intanto l’Italia era travagliata dall’oppressione di varie genti (n.d.r.: epoca delle invasioni barbariche) e poiché la località di Melfi era piccola e spregevole, i sopraddetti Melfitani, temendo di essere sottomessi al dominio di tali oppressori, lasciarono Melfi e si portarono a Eboli, che è dalle parti di Salerno. Lì rimasero alquanto tempo (n.d.r.: il Chronicon Salernitanum dice, invece, “alcuni giorni”). Vennero, infatti, angariati dagli Ebolitani, tanto che temevano di trovarsi assai peggio che i loro antenati a Ragusa. Alcuni di essi, partiti in esplorazione, arrivarono alla montagna che ora si chiama Scala. Gli abitanti del posto, vedendo quegli uomini sconosciuti ma onesti di forma e cortesi nel conversare, li ammirarono molto e dissero loro: «Vi preghiamo, rimanete con noi per alcuni giorni». Così rimasero. Intanto, considerando che Eboli non era per loro luogo sicuro e tranquillo, si misero ad esaminare diligentemente quei luoghi e scesero verso la valle che sta ad occidente sotto i monti di Scala, e così arrivarono alla spiaggia del mare. La posizione del sito loro piacque assai, come luogo sicuro e, in più, percorso dai due fiumi perenni che circondano Scala (n.d.r.: il Reginnola-Dragone ad est ed il Canneto ad ovest). Allora, lieti tornarono ad Eboli a raccontare quanto avevano visto; ma non furono creduti. Anzi, alcuni più esperti e prudenti furono spediti a controllare la verità del racconto. Anche questi tornarono e festosamente riferirono: «O Romani, abbiamo trovato posti adatti a resistere a ogni invasione e irrigati da fiumi ricchi di acqua». A questi si prestò fede e tutti si trasferirono a Scala e vi presero dimora. Dopo molti anni scesero da Scala alla valle occidentale, sino al mare e lì cominciarono a edificare una città che chiamarono Amalfi ». La complessa vicenda che narra questo mito copre uno spazio di vari secoli, principiando intorno all’anno 330 (il trasferimento della capitale da Roma a Bisanzio fu decretato nell’anno 326, mentre Costantino morì nel 337) e giungendo fino al VI secolo, quando nacque Amalfi come borgo costiero fortificato a guardia e difesa del confine sud del Ducato bizantino di Napoli. Se a ciò aggiungiamo anche i secoli (quattro circa) che separano la nascita di Amalfi dal momento in cui un monaco longobardo salernitano la narrò nel Chronicon, ci appare chiaro come quel testo debba interpretarsi come una ricostruzione molto a posteriori, basata su tradizioni orali non più verificabili e quasi certamente viziate anche da una pulsione a nobilitare le origini della comunità protagonista; comunità che intanto, si era gia fatta notare e rispettare per la sua valentia marinara, commerciale e diplomatica. Si dice che al fondo di ogni mitica leggenda vi siano delle briciole di verità. In questo caso le potremmo identificare nel legame con Costantinopoli (la “bizantinità” politica dell’Amalfi alto-medievale) e la fedeltà alla tradizione giuridica romana, che Amalfi volle tener viva in quei secoli di “imbarbarimento” della penisola italiana. In tal senso, parlerei di una romanità “trattenuta e difesa”, piuttosto che “importata” dagli incerti profughi di cui parla la leggenda. Un altro fondo di verità nella leggenda va poi riconosciuto laddove essa parla di Scala come di un centro abitato pre-esistente alla fondazione di Amalfi. Infatti, a Scala sono state segnalate alcune tombe romane “a cappuccina”, mentre nei vicini centri collinari di Tramonti e di Agerola è nota fin dai tempi di Matteo Camera (e scoperte più recenti lo confermano) la presenza di tracce archeologiche che attestano la presenza di nuclei abitati di epoca romana (3) che sopravvissero anche ai danni recati dalla celebre eruzione vesuviana del 79 d.C.. Al contrario, le pochissime ville d’ozio che erano sorte su alcune spiagge di foce della Costiera (una a Positano, una ad Amalfi, una a Minori) non sopravvissero a quella eruzione, finendo sepolte sotto spesse coltri di depositi alluvionali (un materiale tufaceo localmente noto come Durece) alimentate per molti decenni dal ripetersi di frane che scollavano dai monti le piroclastiti che vi si erano precariamente deposte nel 79 d.C. (4). Per chi volesse approfondire l’argomento suggerisco: Giuseppe Gargano –La città davanti al mare. Aree urbane e storie sommerse di Amalfi nel medioevo. Centro di Cultura e Storia Amalfitana. Amalfi 1992. Domenico Camardo e Matilde Esposito –Le frontiere di Amalfi. Centro di Cultura e Storia Amalfitana. Amalfi 1995. Aldo Cinque e Gaetano Robustelli –Effetti catastrofici distali dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.. IN: Géoarcheologie de la péninsule italienne. Mediterranée, n°. 112, 2009, pp.95-100. Note 1) E’ l’odierna Dubrovnik, città fondata col nome di Ragusium nella prima metà del VII secolo dagli abitanti della vicina Epidaurum oppressa da invasioni degli Slavi e degli Avari. Come Amalfi, fu protetta dall’Impero Bizantino e divenne una Repubblica Marinara con fiorenti commerci nell’Adriatico e nel Mediterraneo orientale. 2) Non si tratta della potentina Melfi (ben lontana dalle coste) ma di Molpa/Molfa, vicino a Capo Palinuro. Diodoro Siculo la dice fondata verso il 540 a.C. dagli stessi Focei che alcuni anni prima avevano fondato la città magno-greca di Hyele (poi Elea e Velia). La sua decadenza cominciò con una presa da parte degli Ostrogoti e poi, nel corso della guerra gotica, con i danni arrecati nel 547 (durante la Guerra Gotica) dal generale bizantino Belisario. 3) Ad Agerola, in particolare, le tracce coprono anche il periodo ellenistico e nell’area del Campo Sportivo S. Matteo fu occasionalmente intaccata anche una necropoli del VII-VIII secolo a.C. (si vedano, ad esempio, i reperti esposti nel neonato Museo civico Casa della Corte) 4) Le piccole piane costiere ove erano sorte le citate ville marittime, collocandosi alla fine di ampi e ripidi bacini torrentizi, furono tanto esposte al rischio alluvionale da scoraggiare il ritorno di insediamenti stabili. Nel corso dei primi secoli d.C., furono invece ripresi, sebbene in forme più povere, i fondi agricoli delle antiche ville rustiche collinari, collocate su ripiani orografici di notevole stabilità e – cosa non meno importante – meno esposti ad incursioni predatorie.
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