In questa rubrica (“Voci del nostro dialetto”) mi piace soprattutto soffermarmi su quei vocaboli dialettali che si discostano decisamente dai corrispondenti vocaboli dell’italiano moderno e che – svelati etimologicamente – possono rivelare o antichi influssi da altre lingue (a esempio i nostri grecismi lama e cria; significanti rispettivamente “gola” e “nonnulla, piccolezza”) o – invece – legami col latino più diretti e chiari di quelli dei corrispettivi termini italiani (come, ad esempio, cerasa rispetto a “ciliegia”, e spurtiglione rispetto a “pipistrello”).
Della seconda evenienza voglio ora portare un altro esempio; quello del nostro sostantivo maschile cènceno. Esso indica il gancio di ferro a forma di S col quale si appendono cose a una pertica, a un cavo teso o a un anello fisso al soffitto o a un muro.
“Gancio” viene dal turco kanca (pronuncia kangià) e, probabilmente, entrò nell’italiano con i medievali scambi commerciali con l’oriente mediterraneo in cui primeggiò la repubblica di Venezia.
L’equivalente agerolese (cenceno) viene invece dal latino antico cincinnus, che valeva “riccio”. Dallo stesso termine derivò anche Cincinnatus (Cincinnato), soprannome di Lucio Quinzio, dovuto al fatto che egli era di capigliatura riccioluta.
In effetti il gancio come sopra descritto nient’altro è che un riccio di ferro! E le storpiature implicate dal passaggio dal latino cincinnus al volgare cenceno sono davvero minime.
Molto interessante per la traiettoria storica di questo termine, squisitamente legato alla pratica agreste e domestica. Grazie, caro Aldo.