
2 STEMMA –Stemma dei Naclerio di Napoli tratto dall’albero genealogico redatto dal Cav. Guido Guida (vedi nota 8) e ricopiato dall’originale in marmo che è nella cappella di famiglia in S. Anna dei Lombardi. La parte inferiore è identica allo stemma che hanno usato i Naclerio di Agerola (ad es. nella loro cappella in S. Maria di Loreto a Campora). Nella parte superiore è l’aquila bianca su campo rosso aggiunta per concessione di Sigismondo II di Polonia

SEPOLCRO -Sepolcro di Thoma N. nella cappella gentilizia dei Naclerio in S. Anna dei Lombardi, Napoli, Per altre immagini vedi il mio articolo su S. Anna dei Lombardi ( https://agerola.wordpress.com/2009/11/20/riapre-la-chiesa-di-s-anna-dei-lombardi-a-napoli/).
I Naclerio: dalla cappella gentilizia del ramo napoletano alle origini agerolesi della famiglia.
Il cognome Naclerio trova ad Agerola il suo massimo picco di presenza e le attestazioni più antiche. Nel portare un mio modesto contributo alla storia di questa antica casata, muovo dalle epigrafi che troviamo nella cappella gentilizia dei Naclerio di Napoli sita nella bela chiesa di S. Anna dei Lombardi.
Detta cappella (la terza del fianco destro della navata) è dedicata a S. Antonio da Padova e presenta opere scultoree e pittoriche di importanti artisti del Seicento napoletano, nonché due monumenti sepolcrali del Cinquecento. Sulla volta, infine, si hanno importanti affreschi di Nicola Malinconico con Storie della vita di Sant’Antonio.
Un monumento sulla paret della cappellae reca, in alto, la seguente iscrizione
IOANNI NAUCLERIO
PETRI FILIO
SAPIENTAE ET DEX-
TERITAS LAUDE COM-
MENDATISSIMO A REGE
FERDINANDO I AD FER-
DINANDUM HISPANIAE
REGEM SOBRINUM SU-
UM MOMENTOS IS DE RE-
BUS AN.. M CCCCLXXXVII
LEGATIONE INSIGNITO
QUA BENE GESTA OPTIMI
PRINCIPIS INDULGENTIA
MUNERIBUS AUCTO TAN-
DEM VITA FUNCTO XI
KAL. APRIL MDXIIII
ROBERTUS GRATIANI F.
NAUCLERIUS AVO IM-
MORTALI MEMORIA DIGNO
POSUIT
Essa è dedicata a tal Giovanni Naclerio figlio di Pietro, che per la sua sapienza e destrezza intellettuale fu apprezzato da re Ferdinando I di Napoli e raccomandato al cugino Ferdinando re di Spagna e incaricato di una azione diplomatica(“legatione insignito”) legata ai “fattu del 1487”. Avendola ben condotta, quella ambasceria, il sovrano ricompensò Giovanni Naclerio con un generoso vitalizio. La lapide,fu voluta dal nipote diretto di Giovanni, Roberto, figlio di Graziano- I citati fatti del1487 sono probabilmente quelli legati alla chiusura della seconda Congiura dei Baroni con esito –come è noto- favorevole al re.
Sulla parete destra della cappella abbiamo poi il ricco monumento funebre dedicato a Tommaso Naclerio, del quale fa parte la seguente epigrafe:
THOMAE NAUCLERIO I.C
PRAESTANTIA GENERIS ET MORUM HONESTATE
SATIS CLARO
QUI IN RE FORENSI QUANTUS EXTITERIT
AB EIUS ADNOTATIONIBUS
IN PATRIOS VETUSTISSIMI AEVI MORES
SANCTIONUM VIM HABENTES
FACILE DIGNOSCITUR
OCTAVIUS ALPHONSUS MUTIUS ET JOHANNES BAPTISTA
ANGELI ET FULVIAE GAIETANAE FILII
PATRUO OPTIME MERITO
MONU POSUERE
DECESSIT III NON .OCT.ANN.MDLVIII
La quale, parafrasato in italiano, dice:
A Tommaso Naclerio giureconsulto[1]
di chiara fama per le sue eccellenti opere e per gli onesti costumi, quale emerse per i suoi scritti in campo forense[2]..
Nei patrii costumi degli avi antichi, che avevano la forza della sanzione, facilmente si distingue.
Ottavi,o Alfonso, Muzio e Giovan Battist,a figli di
Angelo e di Fulvia Caietani[3] (3) all’ottimo merito paterno pongono monumento.
Morto nella III ora del 7 ottobre dell’anno 1558[4] (4)
Sempre nella cappella di Sant’Antonio abbiamo poi due epigrafi apposte nel tardo Settecento. La prima di esse – inserita nell’altare – recita:
SACELLUM.GENTIS NAUCLERIORUM.
A SIGISMUNDO AUGUSTO.II.POLONIAE.REGE
OB EXIMIA MERITA
PROSPERI NAUCLERII
SUI AULICI ET STABULO PRAEFECTI
POLONA NOBILITATE ATQUE ALBAE AQUILAE
REGIO STEMMATE
ANTIQUIS NAUCLERIANIS INSIGNIBUS ADDITO
ANN.CI)I)LXVII COHONESTATAE
ALOYSIUS NAUCLERIUS
ADSCRIPTO REGIAE MUNIFICIENTIAE MONUMENTO
II ILLUSTRIUS REDDITIT
ANN CI)I)CCLXXX
Vale a dire:
Sacello della famiglia Naclerios.
Sigismondo Augusto II re di Polonia[5] (5),
per gli esimi meriti di
Prospero Naclerio,
dei suoi cortigiani e cavallerizzi di corte[6] (6),
aggiunge alle antiche insegne naucleriane
la Nobiltà Polacca e il regio stemma dell’Aquila Bianca[7] (7),
solennizzate; conferimento dell’’anno 1567.
Aloisio Naclerio la suddetta regia munificenza
Con (questo) secondo monumento rese più illustre. Anno 1780 .
Le lapidi sin qui viste ci danno contezza del fatto che, nel Quattro-Cinquecento, i Naclerio di Napoli avevano espresso vari personaggi notevoli: un ambasciatore regio (Giovanni), un giureconsulto (Tommaso) e un cortigiano del re di Polonia (Prospero).
I nomi di altri Naclerio di spicco furono incisi nel marmo circa due secoli dopo. In tal senso abbiamo già letto dell’Aloisio Naclerio che nel 1780 volle fissare in lapide i meriti dell’antenato Prospero e lo stemma familiare arricchito dell’aquila bianca di Polonia.
Ma chi era questo Aloisio? Per rispondere a questa domanda, volgiamo l’attenzione al policromo pavimento marmoreo della cappella, nel quale troviamo inserita la seguente epigrafe:
VETUSTUM GENTIS NAUCLERIAE
SEPULCRUM
A GERMANIS FRATIBUS
JOANNE BAPTISTA ET MUCIO
ALONSII TURRIS PALERIAE BARONIS
FILIIS ANN MDCCXXXI INSTAURATUM/
ALONSIUS NAUCLERIUS
MUCII FILIUS ALONSII NEPOS
NOVO ELEGANTIORE OPERE
ORNANDUM CURAVIT ANN MDCCLXXX
Essa ci dice che quel plurisecolare sepolcro della genia dei Naclerio, già rinnovato nel 1731 dai fratelli Giovanni Battista e Muzio, figli di Alonso barone di Torre Pagliara[8] (8), nel 1780 fu arricchito di nuovi ornamenti da Alonso Naclerio figlio di (detto) Muzio e nipote di (detto) Alonso.
Mi pare indubitabile che a firmare questa lapide pavimentale fu lo stesso Alonso che firmò l’altra lapide –già vista- dello stesso anno. E’ lui stesso a dirci che suo padre si chiamava Muzio e suo nonno Alonso. Poi ci dice che la cappella da lui abbellita nel 1780 era stata già restaurata cinquant’anni prima dal padre e dallo zio (Muzio e Giovan Battista).
Un grande architetto in famiglia.
A mio avviso siamo di fronte a tre ben noti personaggi della storia dell’arte e dell’edilizia napoletana. Il più grande dei tre è Giovan Battista Naclerio (Napoli 1666 – Napoli 1739) che è concordemente collocato dagli studiosi tra i maggiori architetti napoletani del Settecento. Egli fu allievo e collaboratore del grande Francesco Antonio Picchiatti, cui subentrò per la realizzazione delle opere lasciate incompiute causa la morte del maestro (ad esempio: quelle in S. Domenico Maggiore). Via via più apprezzato per il suo stile, Giovan Battista ebbe molti e importanti incarichi progettuali, lasciando la sua inconfondibile impronta in molti edifici religiosi e civili di Napoli e dintorni[9] (9).
Nel Muzio della lapide in questione (che spagnolescamente lo chiama Mucio) possiamo poi riconoscere il fratello di Giovan Battista, che usava farsi chiamare Maurizio e che fu anche lui ingegnere e architetto, ma anche scultore. Muzio, che morì nel 1747, collaborò spesso col fratello nella progettazione e nella realizzazione di opere architettoniche.
In vari trattati si legge che Giovan Battista e Muzio erano figli di un ingegnere regio di nome Luigi, ma io credo che Luigi fosse un secondo nome o piuttosto uno pseudonimo (vezzo che, a quanto pare, sarà ripreso anche da Muzio-Maurizio) e che il suo nome fosse Alonso, come leggiamo su uno dei marmi della cappella di famiglia (“JOANNE BAPTISTA ET MUCIO ALONSII TURRIS PALERIAE BARONIS FILIIS = Giovan Battista e Muzio, figli di Alonso barone di Torre Pagliara”).
Credo dunque di poter affermare che il grande architetto G.B. Naclerio apparteneva proprio a quel ramo familiare che aveva eletta a propria cappella gentilizia e sacello la cappella di S. Antonio da Padova in S. Anna dei Lombardi. E fu lui, insieme al fratello e collega Muzio a curare i lavori alla cappella stessa nel 1731.
A chi volesse sapere di altri antichi esponenti dei Naclerio di Napoli, segnalo l’albero genealogico (fatalmente incompleto) che fu redatto nel 1841 dal Cav. Guido Guida e che si trova inserito nella “Memoria per i Naclerio” che il Guida scrisse per una vertenza volta a far ottenere alla famiglia il riconoscimento di nobiltà. Detta “Memoria” è riportata integralmente nel volume di M. Naclerio (op.cit. pag.,129-139). Qui mi basterà ricordare che quell’albero genealogico pone come capostipite il già visto Giovanni Naclerio figlio di Pietro, nato intorno alla metà del Quattrocento, morto nel 1514 e ricordato per la stima che ne ebbero i sovrani aragonesi. Da suo figlio Graziano nacque Roberto e da questi Pietro, la cui discendenza fu dichiarata “nobile ex genere, ossia nobile per nascita e illustre per prosapia” in una sentenza del S. R. C. del 1614. Fratello di tale Pietro N. fu il Prospero che la lapide settecentesca sopra vista ci segnala come Cavallerizzo di corte di re Sigismondo Augusto II di Polonia. Egli sposò Beatrice Caracciolo, nobildonna del Sedile Capuano di Napoli.
Passando da Napoli ad Agerola…
Al momento non si conoscono documenti in grado di chiarire con certezza quali rapporti legarono i Naclerio di Napoli ai Naclerio di Agerola. Tuttavia, a me pare molto più probabile che la casata si estese da Agerola verso Napoli, piuttosto che viceversa. Me lo fa pensare il fatto che i Naclerio di Napoli pongono il loro capostipite nel Quattrocento, come abbiamo visto, mentre nell’area dell’ex Ducato d’Amalfi la comparsa cognome a più antica di almeno un paio di secoli.
Michele Naclerio, nel suo bel volume “Agerola. Iconografia,e documentii, bibliografia” (Edizioni tgbook, 2013) dice che a Pimonte il cognome è attestato fin dal 1297 e cita al proposito un documento d’epoca riportato integralmente da Giovanni Celoro Parancandolo alle pagine 116-123 del suo libro “Pimonte” (A.C.M., Torre del Greco, 1968). In effetti, in quell’antico documento Naclerius compare come nome personale di uno dei diversi Pironti (Pirontus) che vi sono citati.
Che io sappia, la più antica attestazione di Naclerio come cognome proviene da Agerola ed è del 1321. E’ un atto di compravendita nel quale è menzionato un tal Sergio Naclerio di Agerola[10] (10) che –fatti i debiti conti- deve essere nato tra ottanta e cento anni prima della data dell’atto. Vale a dire che i Naclerio sono ad Agerola almeno dal secondo quarto del Duecento..
Sempre ad Agerola, altri antichi membri della casata li troviamo segnalati nel già citato libro di Michele Naclerio (2013) alle pagine 121 e seguenti. Tra gli altri vi sono menzionati: l’abate Pietro Naclerio che il 25 gennaio 1400 viene eletto rettore della chiesa di S. Martino; lo Stasio Naclerio che nel 1491 è sindacus di Agerola e quel Giovan Francesco Naclerio che nel 1584 è tra i quattro eletti che governano il paese. Inoltre, di un Leonardo Naclerio di Agerola, di professione “spadaio”, menzionato in un documento notarile del 29 ottobre 1484, può leggersi a pagina 210 del volume 6 dei “Documenti per la storia: le arti e le industrie delle province napoletane” (Tip. dell’Accademia reale delle scienze, 1891), opera di Gaetano Angerio e Guglielmo Filangieri .
Riguardo alla sopraccitata migrazione di alcuni Naclerio da Agerola a Napoli, credo che, similmente a quanto accadde in altre famiglie (Acampora, Avitabile, Brancati, Pironti, Sartiano, ecc), anche quella dei Naclerio ebbe dei membri che –specie nel tardo Medioevo- si trasferirono nella capitale. Taluni lo fecero da mercanti (per gestire l’esportazione e il commercio di legname, derrate alimentari e seta); altri vennero mandati a Napoli per laurearsi ed essere avviati alle professioni liberali. Tra questi ultimi ci fu chi tornò ad esercitare in Agerola o in altri centri della Costa d’Amalfi; altri, invece ebbero l’opportunità di far carriera (talvolta di gran successo) a Napoli, ove si stabilirono definitivamente e generarono rami familiari che, dopo qualche generazione, forse anche a causa del diverso rango sociale raggiunto, finirono col perdere sia i contatti coi parenti di Agerola, sia la stessa memoria del paese d’origine.
Nel caso dei Naclerio ritengo che il transito verso Napoli , e verso la classe dei curiali sia avvenuto, al più tardi, con Marino Naclerio, notaio apostolico abitante a Napoli ma nato ad Agerola. “…instrumentum confectum manu notarii Marini Nauclerii de Ayrola” si legge infatti nella trascrizione cinquecentesca di un atto rogato nel 1432 (Archivio di Stato di Napoli Corp. Soppr. 1197, f. 31v Di tale documento si ha un transunto anche Rosalba di Meglio a pagina 85 del suo saggio “Convento francescano di San Lorenzo di Napoli: regesti dei documenti dei secoli XIII-XV” (Ed. Carlone, 2003).
Chiudo questo articolo ricordando che tra le opere progettate da Giovan Battista Naclerio vi è il nuovo altare per la chiesa di San Diego all’Ospedaletto in Napoli. E’ la chiesa al cui restauro e abbellimento contribuì più di ogni altro il ricchissimo mercante-barone Andrea Brancati da Agerola, ma anche suo figlio Domenico e il nipote Andrea Jr. (vedi mio saggio “I parenti agerolesi del cardinal e Lorenzo Brancati”, sul n. 41-42 della Rassegna del Centro di cultura e storia amalfitana). Chissà che a suggerire il Naclerio come architetto cui far disegnare l’altare maggiore non fu proprio un Brancati e che non influì amche un’amicizia personale dovuta al fatto di sapersi ambedue discendenti di ceppi familiari nati nell’alrcadica Agerola. Ad ogni modo, non escluderei che qualche Agerolese residente a Napoli (magari un Naclerio dei nostri) non abbia pensato di suggerire proprio Giovan Battista come architetto cui affidare qualche intervento su una chiesa del paese. Ma qui ci vorrebbe un esperto che venisse a verificare se in qualche chiesa di Agerola non si legga per caso la cifra stilistica del grande architetto.
NOTE
1) Così va sciolta l’abbreviazione I.C. (iure consulto)che segue il nome del personaggio.
2) Scrisse tra l’altro un trattato sulle Consuetudines neapolitanae.
3) Vedi oltre per i rapporti di parentela col defunto
4) L’abbreviazione non. sta per nona, termine calendariale che significa “nono giorno prima delle idi del mese”. Per ottobre essa equivale al giorno 7.
5) Sigismondo Augusto II (della stirpe dei Iagellona) nacque a Cracovia il 1520. Tra le cose che lo legarono all’’Italia (e il nostro Meridione in particolare) , ricordo che egli era figlio di Bòna Sforza, figlia di Gian Galeazzo Sforza e Isabella, figlia a sua volta di Alfondo I d’Aragona re di Napoli, Bòna aveva ereditato da sua madre i feudi di Bari e Rossano con relativo titolo di Principessa. Alla morte di Bòna (avvenuta a Bari, dove si era ritirata dopo una rottura con Sigismondo), nel 1557), Filippo II di Spagna prese
possesso dei feudi di Bari e Rossano appellandosi a un testamento in suo favore della defunta, che però si ritenne contraffatto per mano di un prezzolato uomo della corte polacca. Allora Sigismondo e sua sorella Caterina regina di Svezia vennero in armi in sud Italia per riprendere a Filippo II le terre di cui sopra. Sigismondo morì a Bari il 1572 e la sua tomba si trova dietro l’altare maggiore della bellissima chiesa romanica di S. Nicola.
6) Stabuli prefecto, che qui troviamo al genitivo, era un titolo di dignità che in volgare – con uno spagnolismo- fu detto di Cavallerizzo di corte. Il titolo si dava a chi soprintendeva alle scuderie reali. In effetti, di un acquisto di un destriero “menato per seruigio délia Maestà del Re di Polonia” da parte del “ Magnifico Prospero Naclerio” si legge a paguna . 57 del libro del 1620 di Pierro Antonio e Giovanni Battista Ferraro “Cavallo frenato …” disponibile in rete come books.google.it/books?id=qT5JAAAAcAAJ.
7) Infatti, le insegne dei sovrani di Polonia recavano un’aquila bianca (a ali spiegate) su campo rosso.
8) Luigi, alias Alonso Naclerio acquistò il feudo di Torre Pagliara (nel Beneventano) e con esso il titolo nobiliare, nel 1689 e i suoi discendenti diretti lo tennero per soli 53 anni (vedi M. Naclerio, op.cit., pag. 127 e 131).
9) A Napoli egli lavorò, tra l’altro, ai seguenti edifici religiosi: S. Francesco degli Scarioni, Santa Maria di Caravaggio, S. Domenico Maggiore, Santi Demetrio e Bonifacio, S. Giovanni Battista delle Monache, S. Francesco delle Cappuccinelle,, S. Maria delle Grazie, S. Diego all’Ospedaletto, S. Pietro ad Aram, Santi Bernardo e Margherita, S, Maria di Caravaggio, Santi Severino e Sossio. In quanto a sue opere di architetture civili, vanno ricordate almeno la bellissima Villa Paternò a Capodimonte e i palazzi nobiliari dei Ragni e dei del Forno. Tra le opere fuori Napoli abbiamo quelle di S. Modestino ad Avellino e la chiesa della SS. Annunziata ad Aversa.
Per saperne di più si veda nel volume Barocco Napoletano (a cura di G. Cantone, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1992) il saggio di Antonio Litta intitolato La pietra e la forma: Giovan Battista Nauclerio.
10) Trattasi della pergamena CCCCXIX del Codice Perris, relativa alla vendita di una selva in località Li Rocti (Rocco) nel casale Pianillo. L’acquirente è don Pietro de Iudice di Amalfi. I venditori sono Marino de Campalo, sua moglie Figiana Naucleriius fu Sergio, i loro figli Sergio, Marchus, Iontus e Sturionis. Quest’ultimo ammogliato con Petrona Iuveni ed ha sia dei figli minorenni che uno maggiorenne, di nome Palmo, che manca alla stipula perché “non in patria” (forse imbarcato). Da questo Palmo che è all’incirca ventenne nel 1321, al Sergio Naclerio padre di Figiana sono in tutto 4 generazioni; per cui l’avo Sergio sarà nato nel secondo quarto del Duecento.
APPENDICE
Sull’etimologia del cognome e certe presunte origini straniere della casate.
Dato che il termine naclerio discende dal greco naùcleros) (“nocchiero”) c’è chi, solo per questo, crede che all’origine della casata Naclerio si debba porre un capostipite greco o grecofono e –per dar maggior credito all’ipotesi, ricorda il lungo periodo filo-bizantino del ducato di Amalfi e il multilinguismo qui portato dai commerci marittimi con l’oriente mediterraneo che fecero ricchi gli Amalfitani dell’alto Medio Evo.
Ma un simile ragionamento può valere, semmai, per termini passati direttamente dal greco al volgare, mentre il vocabolo greco naùcleros passò prima nel latino nauclerus, e a quest’ultimo mi pare che riconducano senz’altro le prime attestazioni dell’uso locale del termine come nome e come cognome (Naclerius Pirontus di Pino e Sergius Nauclerius di Agerola).
Altra cosa da sfatare è che vi sia una qualche relazione di parentela col famoso Johannes Nauclerus, diventa dottore in legge, storico e umanista che fu prima a capo della chiesa di Stoccarda e poi, dal 1477, il primo rettore della neonata Università di Tubingen. In realtà il vero cognome di questo illustre svevo era Wergenhans e fu solo per seguire la diffusa usanza di latinizzarlo che egli prese a firmarsi Johannes Nauclerus, anche perché il significato del suo cognome germanico era più o meno quello di nocchiero (ferryman).
[1] Così va sciolta l’abbreviazione I.C. (iure consulto)che segue il nome del personaggio.
[2] Scrisse tra l’altro un trattato sulle Consuetudines neapolitanae.
[3] Vedi oltre per i rapporti di parentela col defunto
[4] L’abbreviazione non. sta per nona, termine calendariale che significa “nono giorno prima delle idi del mese”. Per ottobre essa equivale al giorno 7.
[5] Sigismondo Augusto II (della stirpe dei Iagellona) nacque a Cracovia il 1520. Tra le cose che lo legarono all’’Italia (e il nostro Meridione in particolare) , ricordo che egli era figlio di Bòna Sforza, figlia di Gian Galeazzo Sforza e Isabella, figlia a sua volta di Alfondo I d’Aragona re di Napoli, Bòna aveva ereditato da sua madre i feudi di Bari e Rossano con relativo titolo di Principessa. Alla morte di Bòna (avvenuta a Bari, dove si era ritirata dopo una rottura con Sigismondo), nel 1557), Filippo II di Spagna prese
possesso dei feudi di Bari e Rossano appellandosi a un testamento in suo favore della defunta, che però si ritenne contraffatto per mano di un prezzolato uomo della corte polacca. Allora Sigismondo e sua sorella Caterina regina di Svezia vennero in armi in sud Italia per riprendere a Filippo II le terre di cui sopra. Sigismondo morì a Bari il 1572 e la sua tomba si trova dietro l’altare maggiore della bellissima chiesa romanica di S. Nicola.
[6] Stabuli prefecto, che qui troviamo al genitivo, era un titolo di dignità che in volgare – con uno spagnolismo- fu detto di Cavallerizzo di corte. Il titolo si dava a chi soprintendeva alle scuderie reali. In effetti, di un acquisto di un destriero “menato per seruigio délia Maestà del Re di Polonia” da parte del “ Magnifico Prospero Naclerio” si legge a paguna . 57 del libro del 1620 di Pierro Antonio e Giovanni Battista Ferraro “Cavallo frenato …” disponibile in rete come books.google.it/books?id=qT5JAAAAcAAJ.
[7] Infatti, le insegne dei sovrani di Polonia recavano un’aquila bianca (a ali spiegate) su campo rosso.
[8] Luigi, alias Alonso Naclerio acquistò il feudo di Torre Pagliara (nel Beneventano) e con esso il titolo nobiliare, nel 1689 e i suoi discendenti diretti lo tennero per soli 53 anni (vedi M. Naclerio, op.cit., pag. 127 e 131).
[9] A Napoli egli lavorò, tra l’altro, ai seguenti edifici religiosi: S. Francesco degli Scarioni, Santa Maria di Caravaggio, S. Domenico Maggiore, Santi Demetrio e Bonifacio, S. Giovanni Battista delle Monache, S. Francesco delle Cappuccinelle,, S. Maria delle Grazie, S. Diego all’Ospedaletto, S. Pietro ad Aram, Santi Bernardo e Margherita, S, Maria di Caravaggio, Santi Severino e Sossio. In quanto a sue opere di architetture civili, vanno ricordate almeno la bellissima Villa Paternò a Capodimonte e i palazzi nobiliari dei Ragni e dei del Forno. Tra le opere fuori Napoli abbiamo quelle di S. Modestino ad Avellino e la chiesa della SS. Annunziata ad Aversa.
Per saperne di più si veda nel volume Barocco Napoletano (a cura di G. Cantone, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1992) il saggio di Antonio Litta intitolato La pietra e la forma: Giovan Battista Nauclerio.
[10] Trattasi della pergamena CCCCXIX del Codice Perris, relativa alla vendita di una selva in località Li Rocti (Rocco) nel casale Pianillo. L’acquirente è don Pietro de Iudice di Amalfi. I venditori sono Marino de Campalo, sua moglie Figiana Naucleriius fu Sergio, i loro figli Sergio, Marchus, Iontus e Sturionis. Quest’ultimo ammogliato con Petrona Iuveni ed ha sia dei figli minorenni che uno maggiorenne, di nome Palmo, che manca alla stipula perché “non in patria” (forse imbarcato). Da questo Palmo che è all’incirca ventenne nel 1321, al Sergio Naclerio padre di Figiana sono in tutto 4 generazioni; per cui l’avo Sergio sarà nato nel secondo quarto del Duecento.

SANTI SEVERINO E SOSSIO -Facciata e balaustre della chiesa dei Santi Severino e Sossio; una delle tante opere di G.B. Naclerio a Napoli.
Buon giorno, sono uno studioso della Resistenza e sto facendo una ricerca su Fiesole. In un documento dell’8 gennaio 1945 ho trovato un riferimento al Carabiniere Francesco Naclerio fu Ferdinando e di Moscolo Margherita, nato a Agerola (Napoli) il 28/10/1910; viene indicato con la qualifica di “Patriota”, per il suo servizio a Fiesole. Conosce qualcuno che possa darmi maggiori informazioni su questo Patriota, poco noto anche a Fiesole.Ringraziando per la cortese attenzione, invio distinti saluti.
Prof. Jonathan Nelson, Ph.D.
email: jnelso03@syr.edu